CURARE nel TEMPO del COVID

Intervento per associazione Mamiù rivolto alle educatrici dei Nidi Infantili.

Il mio mestiere è di accompagnare le persone in un percorso di crescita e di cura.

Educare e Curare: la traiettoria che cerchiamo di definire è in quello spazio dedicato al “far crescere” al diventare “maturi”, ricalibrando gli sguardi verso un obiettivo comune, importante e che deve, a mio avviso, prevedere la congiunzione, la collaborazione di molte figure, perché per crescere un bambino sano, sono necessari molti sforzi, impegni … cioè è necessario che l’Ambiente nel quale si fa crescere, sia “sufficientemente sano”.

EDUCARE può significare anch ORIENTARE L’ALTRO AD AVERE CURA DI Sé.

Quindi vi proporrei uno sguardo che apre al più generale senso della cura, da cui “la cura in tempo di Covid”, che tradotto in altri termini si definisce come “curare da distanti”.

Tempo e Cura … nasce qui una relazione importante. Si Educa e si cura in un Tempo, e aggiungerei, se si ha e si dedica Tempo.

È possibile? E di cosa dobbiamo curarci?

Te parole: Bellezza, Sapienza e Bene.

Vorrei innanzi tutto fermarmi per chiedervi di definire voi, cos’è in questo momento, nel vostro lavoro, la DISTANZA.

[…]

Dunque: educare, far crescere, curare. Saggezza, Verità e Virtù.

Il processo di crescita … coinvolge il verbo curare che non si riferisca solo ad uno stato di malattia o malessere, perché il senso della cura è molto più ampio, profondo e coinvolgente.

Curare è EPIMELEIA, Prendersi cura. 

Epimeleia: “parola greca derivante dal verbo epimeleo che sta a significare "prendersi cura" intesa come formazione, costruzione problematica di un rapporto di sé con sé sempre passibile di nuove interpretazioni. In tutta la tradizione dell'epimeleia la spiritualità postula la necessità che il soggetto si modifichi, si trasformi, cambi posizione, divenga cioè, in una certa misura e fino a un certo punto, altro da sé, per avere il diritto di accedere alla verità. Quindi è un vero e proprio concetto, non una parola semplice ma qualcosa di complesso, che apre a sfaccettature differenti, tante quanti sono i punti di vista: filosofico, psicologico, sociologico ed educativo.

È attenzione per ciò che accade dentro e fuori di noi, per il dettaglio, per le piccole cose. La cura diventa un tipo particolare di sguardo sul mondo, sulle cose, sulle azioni che si fanno. Diventa una pratica dell'agire con attenzione, esercitando in ogni momento la scelta. La formazione alla cura è, in questo senso, innanzitutto formazione a un'attenzione rinnovata, a una presenza nella relazione -che parte da sé, dall'ascolto di ciò che diviene dentro di noi”. (Treccani on line)

Solo con questa qualità di attenzione chi pratica la cura può provare davvero a "promuovere nell'altro le possibilità di attualizzare il suo essere più proprio".

Dunque, prendersi cura dell’altro è anche prendersi cura di sé, anzi di più … ESSERE COINVOLTO ATTIVAMENTE nella relazione con l’altro.

Io e l’altro, CHI è L’ALTRO?

Il bambino.

La relazione di cura che devo attivare è verso un mio NON-pari, uno che è per definizione simile a me, ma diverso da me … PICCOLO.

Primo elemento: Ho in mente chi è VERAMENTE L’ALTRO PICCOLO CON CUI MI DEVO RELAZIONARE?

La distanza, addentriamoci sempre di più, impone con maggior forza l’uso della mente, della capacità di tenere nella mente e IMMAGINARE.

Ciò che probabilmente IMMAGINIAMO è il bambino ora, così come ci appare, quel giorno, in quel momento, ma vi CONDUCO, vi voglio condurre, un po' più in là …. Ciò che dobbiamo immaginare è come vorreste che quel bambino DIVENTASSE … come si svilupperà, crescerà. Evolverà …

Per una maestra di scuola primaria che accoglie una classe di prima, presumibilmente, se insegna italiano, avrà come obiettivo del primo anno condurli a imparare a leggere, a scrivere … ma nella consapevolezza più ampia, che leggere e scrivere sono facoltà necessarie allo sviluppo del pensiero, della capacità di pensare per diventare Adulti.

Qual è dunque l’immagine del bambino che ha dentro una educatrice del nido?. Se non c’è possibilità di “stare troppo vicini”, “toccarsi”, bisogna trovare un modo per educare da lontano … cioè attraverso il PENSARSI, faccio notare, riflessivo.

Dunque: “penso, quindi esisto”. Parafrasando Cartesio.

Ma non basta, non è sufficiente …

Penso al bambino, penso all’immagine di un bambino che mi piacerebbe diventasse … COME? CHI?

Pensarlo è importante, ma non sufficiente. Devo “agganciarlo con lo sguardo”, devo guardarlo, e montessorianamente, mettermi alla sua altezza.

Curare da distante comincia allora a declinarsi come un compito estremamente ATTIVO che vede due attori in gioco ed entrambi in posizione attiva, chi conduce e chi si fa condurre.

La relazione si potrà rinforzare attraverso un’attenzione maggiore rivolta ai gesti, agli sguardi, alle posture che potranno meglio definire una relazione empatica e calorosa con il bambino:

Ø  Attenzione ai segnali che il bambino manda

Ø  Attenzione ai dettagli

Ø  Osservare il bambino nel suo agire

Ø  Essere attente a interessarsi a ciò a cui si interessa il bambino

Ø  Lasciare, nelle parole di Emmi Pikler, spazio al gesto interrotto, cioè “donare” fiducia che l’altro (il bambino) completerà il gesto che sta compiendo.

Questa, a mio avviso, la POSIZIONE che deve assumere l’adulto che cura. La distanza si fa allora vicinanza e ancora di più quella vicinanza lecita e possibile perché non della madre (o del Padre), ma propria di chi EDUCA e concorre alla crescita del bambino.

Per fare questo però, dal mio punto di vista di Psicoterapeuta, è necessario avere e lavorare sulla propria consapevolezza di adulto e ci stiamo dicendo, dalla formazione delle rappresentazioni mentali che l’adulto ha; infatti, ciò che egli fa per prendersi cura di un bambino piccolo, che cresce, è un insieme di pensieri e di azioni che dipendono dalla rappresentazione (dall’idea, dalla fantasia) del bambino reale che ha di fronte, ma anche dell’adulto che quel bambino diventerà. Le rappresentazioni di un professionista/educatore, si formano attraverso la propria formazione ricevuta, ma anche dipendono dalla propria storia, dalla propria famiglia, infanzia, cultura …

Accanto a queste, ci sono i MODI attraverso cui un educatore opera nel proprio lavoro di accompagnare tenendo presente alcune questioni proprie del lavoro con i bambini (soprattutto molto piccoli come al nido):

1.       Che si ha a che fare con un ESSERE UMANO diverso, ma in divenire, SIMILE

2.       Che si ha a che fare con un ESSERE UMANO dipendente, ma che va condotto alla piena AUTONOMIA

Il lavoro dell’educatore/educatrice deve potersi realizzare in un ambiente che dia sicurezza sia all’adulto che al bambino, uno spazio libero e all’interno di uno spazio cooperativo. Il dialogo con Altri è essenziale.

Per concludere, vorrei “semplicemente” esortarvi a non avere paura della distanza imposta dal Covid, perché se Pensiamo a quella distanza, se definiamo quella distanza come una Azione Pensabile, possiamo trasformare una necessità nella virtù del “far fare da soli in compagnia di un Altro”, seguendo le parole di Winnicott e ricordandoci che “la condizione in cui nascono e vivono gli Umani è quella in cui si <trovano abbandonati dalla cura degli Dei e sono chiamati ad avere cura di sé da se stessi>” ( Da Luigina Mortari, Avere cura di se, il mito di crono).

Il pericolo più insidioso è NON PENSARE.

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