Educare alla gentilezza

Educare alla gentilezza

Questo mio intervento può far pensare a qualcosa che abbia a che fare con insegnamenti sul come fare ad educare qualcuno – i bambini- ad essere gentili o più semplicemente educati. Non è propriamente quello che ho in mente … tutti vogliamo dei bambini educati, ma in effetti quello è il risultato di un lungo processo ed è sul processo che vorrei concentrarmi. Un processo che dovrebbe essere di consapevolezza di chi sono Io per poter dire a qualcun altro chi deve essere lui o lei e come deve essere per essere giusto o sbagliato.

Dunque, quello che vi chiedo è di cercare di fermare i pensieri ed entrare in un modo nuovo – forse nuovo o forse per qualcuno già conosciuto- di pensare che l’altro non è diverso da me, ma è una parte di me, del mio modo di essere e sicuramente, se è davanti a me, parte del mio mondo.

Le riflessioni che vi porto sono frutto del mio lavoro come psicoterapeuta, e come studiosa delle filosofie orientali e del Buddhismo in particolare.

Certamente, per facilità di linguaggio, in mente vi chiedo di avere un bambino, ma vi chiedo anche di pensare a voi stessi e di entrare nel processo.

Dunque partiamo: innanzi tutto dobbiamo chiederci cosa significa per noi Gentilezza

  • Cosa vi viene in mente?

  • Quali immagini vi suscita questa parola?

Sapete, non è scontato ne tanto meno semplice parlare di cose positive, perché per qualche strano motivo ci è più naturale e immediato doverci difendere, come dire “parlare di gentilezza, mi fa subito pensare che non è facile essere gentile con chi non lo è” o altro …. 

Dunque, prendiamo innanzi tutto confidenza con il fatto che parlare di Gentilezza e gentilezza amorevole, ci fa un po' stranire, per non dire … arrabbiare!

Come dire “ io devo affrontare i momenti di crisi, di pianto, dei capricci, dei bambini … “

Devo insegnargli che questo non si fa, questo non si dice …. Ma ci siamo mai chiesti veramente PERCHE’ UNA COSA NON si deve dire o fare???

Dunque, chiediamocelo:

  • Perché non si può tirare una sberla a un compagno? Qual è l’età del bambino che vi state immaginando? Vale sempre questa regola? 

  • Siamo sicuri noi di non averlo mai fatto? E se non lo abbiamo mai fatto, abbiamo solo subito?

  • Perché non si possono dire le parolacce? Eppure, esistono! Un motivo ci sarà ….

Facciamo un passo indietro … cioè torniamo a noi, noi che siamo grandi. Ora vediamo se siamo anche Adulti ….

EDUCARE SIGNIFICA DIRIGERE CON SENSO LA PROPRIA VITA (forse prima di quella degli altri!)

CHE COSA VADO A FARE DELLA MIA VITA? --> ESSERE adulti significa allora essersi preso la responsabilità di essersi costruiti una propria ETICA, regole sulle quali sono stato una vita (è forse allora che mi posso considerare adulto? Cioè quando sento di essermi preso la responsabilità di pensare? … forse si).

Ed è grazie a quell’ETICA che posso rispondere alle domande importanti, affinché le risposte siano sempre risposte PIENE (dico io) E NON VUOTE, cioè dettate dall’esterno, imposte.

C’è una grande domanda che attraversa le nostre esistenze: qual è lo scopo della nostra vita?

Probabilmente, sebbene tutti possano declinare una risposta personale, alla fine la risposta è ESSERE FELICI.

Noi vogliamo che i nostri figli, i nostri bambini, siano felici, ma dobbiamo essere in grado di accompagnarli affinché loro si costruiscano la loro felicità o costruiremo solo individui fragili e cercatori di illusioni che possano consolare dal vuoto emotivo.

Dobbiamo permettere che si costituisca una umanità attraverso l’amorevolezza, gli affetti, l’aiuto e la cura reciproca.

E’ una vera e propria scommessa … educare alla tenerezza, alla gentilezza.

Questo mi fa pensare alla “non violenza” di Ghandi. Molte persone, indotte dal non, pensano che ad esempio, questa sia stata una pratica passiva … niente di più sbagliato perché quel NON prevede una forza ed un’azione di consapevolezza e di forza interiore, disciplina, stabilità che, non a caso, hanno fatto di Ghandi un grande uomo. 

Bene, noi non vogliamo essere Ghandi, ma comprendere COME fare di un piccolo UOMO/DONNA un grande UOMO/DONNA … cioè letteralmente come portare grandi i bambini.

Dunque, di nuovo, ci chiediamo, ci siamo mai chiesti cosa riteniamo importante dare, amorevolmente dare, ai bambini che vogliamo educare, cioè dirigere?

Essere gentili. Innanzitutto, non significa essere PASSIVI. Partiamo da qui, quali sono le immagini di gentilezza che vi vengono in mente?

  • Essere gentili con un bambino …. IMMAGINATE.

ESSERE GENTILI NON SIGNIFICA FAR FARE LORO TUTTO Ciò CHE VOGLIONO. 

La GENTILEZZA ha a che fare con la fiducia, dare e avere fiducia. Mi fido che quello che sto dando all’altro, è buono, nutriente per l’altro … cioè RIVOLGO ANCHE VERSO DI ME UNA ATTIVA GENTILEZZA, sono gentile con me stessa.

Un bambino (piccolo 4-5 anni) che urla, non mi fa stare bene e mi deve far chiedere perché LUI/LEI abbia bisogno di esprimere in un modo così violento la sua emotività.

È arrabbiato? _ perché può esprimere la sua rabbia solo urlando? Non è stato accompagnato ad essere gentile con sé stesso. 

Con l’educazione si può acquisire coscienza della propria capacità di essere amato e accettato; si ottiene sicurezza per sapersi confrontare con i problemi e dirigere la propria vita.

Dunque, GENTILEZZA non è lasciare urlare quel bambino, sgridarlo o punirlo, ma chiedersi perché non può essere gentile con sé stesso … perché deve, per così dire, “ferire le sue orecchie”, far battere forte il suo cuore, spingere così in alto le sue corde vocali … non si fida che qualcuno possa ascoltarlo, capirlo?

Dunque, gentilezza non è dire GRAZIE o PER FAVORE (queste sono pratiche di buona educazione), GENTILEZZA è COMPRENDERE, SENTIRE E FAR SENTIRE, EMPATIA: Insegnare ed ESSERE nella pratica della gentilezza può significare ACCOMPAGNARE l’altro nella capacità di pensare, di sapersi relazionare e convivere rispettando gli altri, fino all’essenza più pura dell’accompagnare il bambino a farsi carico di sé stesso, in modo AUTONOMO.

Questo ci rimanda necessariamente allo scopo della vita. Essere Felici?

Forse si, ma essere felici è una responsabilità, ci assumiamo la responsabilità di Essere Felici se ci siamo sentiti sicuri, fiduciosi di poter sbagliare, esprimerci, andare avanti e tornare indietro nello sviluppo … se abbiamo imparato anche ad essere gentili con noi stessi.

NON SI INSEGNA LA GENTILEZZA … IO EDUCO ALLA GENTILEZZA, SE SONO IO GENTILE CON ME STESSO, PRIMA DI TUTTO E CON GLI ALTRI POI. 

  • LA GENTILEZZA PRESUPPONE UN PROFONDO SENSO DI GIUSTIZIA: quando dico “non si fa questo, non si fa quello”, mi sono preoccupata di verificare che non siano accadute delle ingiustizie?

“restituisci il giocattolo al tuo compagno” … cosa significa quel giocattolo per il bambino che lo ha preso? 

“non dare le sberle a tuo fratello” … e io, ho dato una carezza tutte le mattine ad entrambi i miei figli?

  • IO: dico grazie quando posso?

  • Etc etc … immagini.

PARLARE DI GENTILEZZA, NON è ESSERE GENTILI. 

LA GENTILEZZA HA COME FORZA DENTRO DI SÉ IL DIRITTO ALLA PROPRIA SINGOLARITA’, NON L’APPIATTIMENTO DELLE DIFFERENZE. NON è SOSTENIBILE L’IDEA CHE SIAMO TUTTI UGUALI, MA ABBIAMO TUTTI DIRITTO DI ESPRIMERE Ciò CHE ABBIAMO DENTRO, LE NOSTRE IDEE … I NOSTRI SENTIMENTI. ANCHE LA RABBIA E L’ODIO.

I BAMBINI ODIANO … per essere gentili, dobbiamo tollerare anche i sentimenti negativi, comprenderli, capire perché li proviamo. Poi possiamo essere gentili, comprendendo che la gentilezza è compassione, è empatia anche di chi ci suscita odio. Insomma, un agire che è, nella sua pienezza, veramente di uno stato di grande maturità e saggezza.

Concludo allora questa mia relazione sul senso dell’accompagnare, educare, alla GENTILEZZA COME DI UN LUNGO PERCORSO CHE SI APPOGGIA AL SENSO DI SAGGEZZA ADULTA E CHE VA OLTRE IL DIRE “grazie, prego, per favore”, e che si costruisce invece sull’amore che si ha di sé stessi, sul rispetto che ho di me e che voglio DIRIGERE su di te.

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RESPIRO.